martedì 1 aprile 2014

Caso Bnl-Unipol, reato prescritto per Silvio e Paolo Berlusconi

Reato prescritto. Dopo le condanne in primo grado, la Seconda Corte d’Appello di Milano ha dichiarato la prescrizione del reato per Silvio e Paolo Berlusconi, imputati per la vicenda dell’intercettazione Fassino-Consorte legata al caso Unipol. Nel marzo dell’anno scorso l’ex premier era stato condannato in primo grado a un anno di reclusione, e suo fratello Paolo - editore del quotidiano - a due anni e tre mesi. I fratelli Berlusconi hanno sempre respinto ogni addebito.


 Non luogo a procedere La Seconda Corte d’Appello di Milano, dopo circa due ore di Camera di Consiglio, ha dichiarato il «non luogo a procedere in ordine ai reati ascritti» a Silvio e Paolo Berlusconi per intervenuta prescrizione. I due erano accusati di concorso in rivelazione del segreto d’ufficio. Le motivazioni saranno pronte fra 30 giorni. Risarcimento a Fassino I giudici hanno confermato il risarcimento di 80 mila euro per Piero Fassino, parte civile nel processo. Fassino era leader dei Ds e protagonista della telefonata pubblicata - ma non depositata agli atti - con l’ormai famosa frase «Allora abbiamo una banca?» insieme all’allora presidente di Unipol Giovanni Consorte. I giudici hanno respinto la richiesta di rideterminare il risarcimento al rialzo proposta dal legale dell’ex segretario Ds.  Nel marzo dell’anno scorso l’ex premier era stato condannato in primo grado a un anno di reclusione, e suo fratello Paolo - editore del quotidiano - a due anni e tre mesi. I fratelli Berlusconi hanno sempre respinto ogni addebito. Non luogo a procedere La Seconda Corte d’Appello di Milano, dopo circa due ore di Camera di Consiglio, ha dichiarato il «non luogo a procedere in ordine ai reati ascritti» a Silvio e Paolo Berlusconi per intervenuta prescrizione. I due erano accusati di concorso in rivelazione del segreto d’ufficio. Le motivazioni saranno pronte fra 30 giorni. Risarcimento a Fassino I giudici hanno confermato il risarcimento di 80 mila euro per Piero Fassino, parte civile nel processo. Fassino era leader dei Ds e protagonista della telefonata pubblicata - ma non depositata agli atti - con l’ormai famosa frase «Allora abbiamo una banca?» insieme all’allora presidente di Unipol Giovanni Consorte. I giudici hanno respinto la richiesta di rideterminare il risarcimento al rialzo proposta dal legale dell’ex segretario Ds.

Renzi: chi ostacola la riforma sarà in minoranza

lunedì 31 marzo 2014

Ultimo sondaggio elezioni politiche 2014

Infographic: MEDIA SONDAGGI ELETTORALI EUROPEE 2014 | Infogram

Berlusconi e Brunetta : "No a testi blindati"

"La durezza con la quale Grasso ha criticato la riforma del Senato proposta dal governo, apre una crisi istituzionale senza precedenti tra la seconda carica dello Stato e il presidente del Consiglio". Lo afferma il capogruppo FI alla Camera, Brunetta, sottolineando come di fronte "a una lacerazione così frontale e deliberata sia necessaria una parola di chiarezza. Ci domandiamo se tale parola non debba essere detta dal Capo dello Stato nell'esercizio della sua moral suasion".


"Poderoso attacco del Presidente del Senato al Presidente del Consiglio. Crisi istituzionale evidente. Siamo nelle mani delle risse del Pd. In che mani è finita l'Italia...". E' quanto si legge nel Mattinale, house organ del gruppo Forza Italia alla Camera. "Renzi è in chiara minoranza nel suo partito in Parlamento", aggiunge l'organo di FI che propone un "breve elenco" dei nodi sorti tra governo e Pd: "Sull'Italicum, sulle riforme istituzionali. Sull'unico atto pratico depositato, e cioè il decreto Poletti sul lavoro. Chi rappresenta Renzi? Non è stato eletto. Arrivato a Palazzo Chigi portato da un partito che non lo riconosce nei fatti. Se aveva la patente a punti, li ha già consumati tutti. Ritiragli la patente?".
"Renzi premier e segretario del Pd, Grasso presidente del Senato e capo della minoranza interna. Troppi doppi incarichi... che confusione". E' quanto scrive su Twitter Giovanni Toti, consigliere politico di Forza Italia.
Entra nel merito della vicenda il deputato forzista Francesco Paolo Sisto, presidente della commissione Affari costituzionali. "Il presidente Grasso entra a piedi uniti sul tema della riforma del Senato, manifestando una resistenza al cambiamento assolutamente fuori luogo. Matteo Renzi ha una sua proposta: ne discuteremo responsabilmente con lui, ma non siamo disposti ad assistere a questi conflitti di competenza che fanno male al Paese".

Renzi ,fra la falce e il martello...

A poche ore dal Consiglio dei ministri, che dovrebbe varare il disegno di legge che trasforma il Senato in Camera delle Autonomie, la scena che va in onda è la seguente: da una parte c’è il premier che dà del “conservatore” alla seconda carica dello Stato, reo di aver detto apertamente che la riforma del Senato, così come annunciata, non va bene. Dall’altra c’è una parte consistente del Pd, 25 senatori che a Palazzo Madama possono fare la differenza, che fa quadrato attorno Grasso. Quest’ultimo, non essendo un politico di lungo corso, viene visto come una figura di garanzia. Non è semplice insomma affibbiare a uno dal curriculum di Pietro Grasso la narrazione "della palude" che si oppone al "torrente" Matteo Renzi. L’effetto collaterale della vicenda è che il Pd si spacca, la neo vicesegretaria, Deborah Serracchiani, chiede a Grasso di allinearsi alle decisioni del partito salvo poi fare marcia indietro, e nel mezzo si inserisce Silvio Berlusconi che, dal canto suo, dice “no a testi blindati dal governo” e sottolinea come “lo scontro istituzionale in atto sul Senato e i dissapori nel Pd fanno sospettare che Renzi fatichi a mantenere le promesse”.


Intanto ciò che è certo che a Renzi, in un pomeriggio ad alta tensione, viene recapitato un messaggio (dal Pd): “Matteo, fermati. Non porre ultimatum. Presentaci un articolato e discutiamone”. Renzi sembra non aver recepito anzi respinge il messaggio al mittente: “Stavolta si cambia davvero. Possono lamentarsi o cercare di frenare in tanti, ma noi questa volta non molliamo, ci abbiamo messo la faccia e ci giochiamo tutto". Il premier però deve fare i conti con il pallottoliere di Palazzo Madama, che potrebbe non essere dalla sua parte a tal punto che la riforma del Senato – come alcuni pensano - potrebbe diventare la sua Caporetto. Anche l’ex premier Mario Monti non è con Renzi e sostiene che “il Senato, con un’opportuna composizione e assegnazione di compiti, può fornire alla ‘respirazione’ di una buona politica un polmone essenziale, distinto e complementare a quello della Camera”. Nelle stesse ore Gustavo Zagrebelsky e Stefano Rodotà lanciano un appello a cui aderiscono Grillo e Casaleggio: "Stiamo assistendo impotenti al progetto di stravolgere la nostra Costituzione da parte di un Parlamento esplicitamente delegittimato dalla sentenza della Corte costituzionale (n. 1 del 2014), per creare un sistema autoritario che dà al presidente del Consiglio poteri padronali", si legge.

Ho sentito tanti senatori che mi hanno detto 'finalmente qualcuno che osa dire le cose’". Ed ecco che a stretto giro arriva la lettera firmata da 25 senatori Pd che promettono di accettare la “sfida di questo cambiamento epocale” ma chiedono “di non essere meri esecutori cui non resta che alzare la mano in Aula. Si lasci la porta aperta a soluzioni migliorative che potrebbero emergere dal lavoro parlamentare e dal necessario dialogo fra maggioranza e opposizioni. Nonostante sia più divertente dipingerci come tacchini terrorizzati dall'attesa del Natale siamo impegnati soltanto a svolgere al meglio il ruolo di ‘costituenti’ che i prossimi passaggi - riforma elettorale, del bicameralismo e del Titolo V - ci affidano e a favorire un'evoluzione innovativa e migliorativa del nostro sistema istituzionale". In serata viene confermato che nessun passo indietro, da parte dell’esecutivo, è stato fatto. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, ribadisce che “i senatori non saranno più eletti” e dunque il ddl, che dovrebbe essere varato, andrà verso il superamento del bicameralismo paritario, con un Senato formato da 120-150 membri non eletti e non retribuiti (consiglieri regionali, sindaci, governatori) che potranno legiferare solo su alcune materie mentre non potranno esprimersi sulla fiducia al governo e sulle leggi di bilancio.

Francia, tracollo della sinistra: ampia vittoria della destra

Nel secondo turno delle municipali i gollisti dell’Ump raccolgono il 45% dei voti, i socialisti il 43% e il Front National il 7%. Le Pen esulta: "Da oggi siamo il terzo grande partito del Paese". E il ministro Moscovici ammette: "Innegabile sconfitta per il governo"

I risultati dei ballottaggi confermano, infatti, il tracollo della sinistra francese: nel secondo turno delle elezioni municipali i gollisti dell’Ump raccolgono il 45% dei voti nelle città sopra i mille abitanti, i socialisti il 43% e il Front National il 7% nonostante abbia presentato candidati in 600 municipi su oltre 36mila. Si corona così il successo politico è il Front National che conquista Bèziers, Frejus e Hayange. L'onda blu non riesce, però, a imporsi a Perpignan e Avignone. "Da oggi - esulta Marine Le Pen - siamo il terzo grande partito nel Paese".
Il ministro dell'Economia Pierre Moscovici non usa mezzi termini: "Quella di oggi è un'incontestabile sconfitta, per i socialisti e per il governo". Il tracollo della sinistra e di Hollande è sotto gli occhi di tutti. Tanto che Segolene Royal invita il partito a "prendere molto seriamente" quella che a conti fatti è "una punizione severissima". I socialisti hanno, infatti, perso il controllo di quandici città. Sono, invece, riusciti a tenere Avignone, città dove la mobilitazione culturale contro l’estrema destra aveva fatto di questa battaglia un simbolo. Il presidente del celebre festival di teatro ospitato dalla città del Sud della Francia, Oliver Py, aveva addirittura dichiarato che in caso di vittoria dell’estrema destra la rassegna avrebbe traslocato. Il Front National non ce l’ha fatta nemmeno a Forbach, in Mosella, dove era in corsa il mediatico vicepresidente Florian Philippot, né a Perpignan dove sperava di vincere Louis Aliot, vicepresidente e compagno della Le Pen.
L’onda del Front National ma soprattutto lo tsunami della destra Ump si abbattono sulla maggioranza. La gauche è al tappeto due anni dopo il ritorno all’Eliseo e alla vigilia di elezioni europee che si annunciano proibitive per il governo. La netta vittoria di Anne Hidalgo, da stasera la prima sindaco donna di Parigi, ai danni dell’agguerrita avversaria Ump Nathalie Kosciusko-Morizet, le conferme a Strasburgo, Lille (con Martine Aubry, e Digione) non cancellano la sconfitta di dimensioni storiche del partito socialista e dei suoi alleati. In un’elezione segnata da un astensionismo record che sfiora il 40%, la gauche subisce una vera e propria disfatta e deve abbandonare storici bastioni come Roubaix, Angers, La Roche-sur-Yon, Nevers, Quimper, Bastia, addirittura Limoges, che aveva un sindaco di sinistra da oltre un secolo, dal 1912. Il vero vincitore delle amministrative è dunque l’Ump, l’opposizione di destra che sembrava allo sbando, fra un presidente senza carisma come Jean-Francois Copè, un eterno avversario agguerrito come l’ex premier Francois Fillon e l’incombente ma ormai difficile ridiscesa in campo di Nicolas Sarkozy.

martedì 25 marzo 2014

Pronte le liste di F.I. per le europee

“Mi auguro che tutti comprendano la gravità del momento e l’esigenza di rinnovarci. Uno sforzo che dobbiamo affrontare tutti insieme mettendo da parte interessi personali, ambizioni individuali e la difesa di rendite di posizione”. Alla fine Silvio Berlusconi si schiera. E verga personalmente una nota per annunciare la grande rottamazione della vecchia guardia di Forza Italia. Annunciando, di fatto, che non candiderà alle europee quei big che pur lo hanno sostenuto in tante battaglie difficili. E contestualmente nominando un ufficio di presidenza di Forza Italia dove, tra i 30 che votano, Fitto è in minoranza. Parecchi della vecchia guardia restano come invitati. Ed entrano la Rossi, Toti, e il resposabile dei club Fiori.
Rinnovamento e basta rendite di posizione: proprio la linea su cui da settimane lo spinge il “cerchio magico” formato da Giovanni Toti, Marcello Fiori e dal duo Rossi-Pascale. Non è un caso che il comunicato venga inviato alle agenzie prima che ad Arcore arrivi quello che viene identificato come il simbolo della “bad company” da rottamare, ovvero Denis Verdini, proprio per una riunione sulle liste alle europee. Riunione che si trasforma in un ring. Chi ha sentito Verdini prima di entrare sbotta: “Aspettiamo le decisioni ufficiali, poi liberi tutti”. Nel senso che Scajola, Fitto, Verdini non hanno alcuna intenzione di mettersi da parte porgendo l’altra guancia. E già pensano alla grande vendetta, che consisterà nel far mancare i propri voti alle liste preparate dal cerchio magico. Più di una fonte affidabile assicura che Denis Verdini, potentissimo uomo macchina e terminale dei portatori di voti di Forza Italia, è pronto a fermare la macchina in questa campagna elettorale. È il controllo dell’organizzazione la vera posta in gioco di queste ore. Anzi, dell’organizzazione nella fase dei servizi sociali, quando Berlusconi sarà limitato nella libertà. Nei piani del nuovo cerchio magico Toti è destinato a diventare il vero numero due del partito, con Maria Rosaria Rossi e Francesca Pascale nel ruolo di plenipotenziari ombra. E Marcello Fiori, responsabile dei Club nel ruolo di organizzatore. Per farlo occorre togliere gli ostacoli dalle liste: “La verità – dice un big di rango - è che nelle urne Fitto arriverebbe primo e pure Scajola prenderebbe più voti di Toti, quindi li tengono fuori altrimenti il loro gioco non regge”. In un clima di tensione e di ansia a pochi giorni dal Verdetto del tribunale di sorveglianza Berlusconi ha scelto di benedire questa operazione, sollecitato anche dall’ala Mediaset: “Se non ci metto mano io al partito salta tutto”. Perché il vecchio leader teme di perdere il controllo di Forza Italia di fronte a una classe dirigente eletta nelle urne, grazie a una sua forza, ora che sarà fuori gioco a causa dei servizi sociali. In particolare, non si fida di Fitto, l’unico che ancora riesce a mobilitare il partito al Sud e custode di un serio bacino di voti. Tanto che i due non si sentono da giorni. E preferisce correre il rischio di perdere voti piuttosto che di perdere il controllo del partito. Perché a questo punto tutto è possibile visto che l’ex governatore pugliese ha già fatto capire che, senza di lui, al Sud Forza Italia avrà problemi seri. La verità è che il 10 aprile è sempre più vicino. Paura, ossessioni, ansia di perdere il controllo delle cose e di assistere inerme alla frana: queste pulsioni avvolgono le mosse del Capo. Non è un caso nel corso del consueto pranzo del lunedì ad Arcore con i figli e i vertici Mediaset Berlusconi ha confidato che teme davvero i “domiciliari”. O comunque misure particolarmente rigide sulla limitazione della libertà. La strategia degli avvocati di Berlusconi è quella di non presentare alcuna richiesta specifica al collegio dei giudici che esamineranno il caso. Confidando che sia sufficiente l’età – l’ex premier ha 78 anni – e l’evidenza che si tratta di un leader politico, che cioè come “lavoro” fa la politica per avere un regime di servizi sociali che non impedisca di proseguire in questa attività. Non sarebbe il primo caso in cui i servizi sociali vengono scontati nell’ambito dell’attività lavorativa del condannato. E quindi, in teoria, Berlusconi potrebbe “lavorare” ad Arcore che di fatto è il suo ufficio politico. Anche se l’elenco delle visite dovrebbe comunque essere autorizzato dal tribunale di sorveglianza. Il problema però è il ravvedimento, lo “scatto di consapevolezza”. Se l’ex premier continua a definirsi innocente, il problema si pone. E potrebbero scattare i domiciliari.