martedì 1 ottobre 2013

Rottura,strappo,...lacerazione.

Angelino Alfano ha incassato l’affondo di Berlusconi anti-governo davanti ai parlamentari azzurri, ha chiesto conto al Cavaliere del nuovo inasprimento nei rapporti tra i ministri-colombe (Alfano, Gaetano Quagliariello, Maurizio Lupi, Nunzia De Girolamo, Beatrice Lorenzin) e il leader-falco. Arrivando a minacciare l’addio al Pdl per dar vita a gruppi autonomi a sostegno di Enrico Letta. E sì che per tutto il giorno la jaquerie ministeriale azzurra era sembrata rientrare, tra mediazioni inesauste e ritrovata, come dire, prudenza.


LE RICHIESTE
Di certo, il giorno più lungo delle colombe inizia male, malissimo. Molti si aspettavano che i ministri del Pdl, capitanati da Alfano dessero vita, nell’ordine, a: 1) un voto contrario nell’assemblea dei gruppi in cui, prendendo la parola, avrebbero detto «caro Silvio, stai sbagliando tutto, ora basta»; 2) un voto di fiducia a Letta e al suo governo; 3) una scissione, se necessario, dal Pdl e da Forza Italia per dare vita a un nuovo partito (Italia Popolare) neocentrista e moderato. E, invece, a metà pomeriggio la secessione delle colombe si afflochia, in un auto-golpe bianco, senza neppure essere iniziata.

Dopo un vertice delle cinque colombe ministeriali a palazzo Chigi, mettono a punto la loro road map: convincere Silvio Berlusconi che la strada migliore e più saggia è quella di retrocedere dalla linea dura per tornare sulla linea della responsabilità. «Silvio, non parlare neppure, davanti ai gruppi riuniti, fai parlare noi» – è l’appello accorato avanzato da Alfano&C. - «aspetta che Letta si presenti alle CICamere, ascolta quello che ha da dire, soprattutto sulla giustizia e l’economia, e non offrirgli pretesti. Non ti intestare una crisi di governo che la gente, anche la nostra gente, non capirebbe. Aspettiamo, vediamo, capiamo meglio. Poi si decide». Il più deciso è Quagliariello: «Penso che continuare a insistere sulle elezioni anticipate sia un errore», dice chiaro e tondo al Cavaliere, «questa linea oltranzista fa male al paese ma soprattutto fa male a te». Niente da fare. Da questo orecchio Berlusconi non ci sente. Li bacchetta severo ma assai poco paterno: «Nel partito le decisioni le prendo io e voi siete andati a urlare ai quattro venti che sarei manovrato dalla Daniela e da Verdini!». Quagliariello lascia anzitempo palazzo Grazioli terreo in volto.


PESI E CONTRAPPESI
La sola apertura di Berlusconi riguarda tutt’altro argomento: il ridimensionamento del ruolo della Santanché, capofila dei falchi, nella nuova Forza Italia. Ecco, è qui, sul ruolo, i pesi e i contrappesi che dovranno avere le diverse anime del Pdl dentro la nuova Forza Italia, che Berlusconi lascia intendere alcune concessioni. I ministri chiedono per Alfano il ruolo di coordinatore unico. Silvio parla di «primus inter pares» in un vertice a cinque composto, oltre che da lui, da Verdini, Santanché, Bondi e da un altro nome non ancora meglio individuato. Poco, decisamente poco. Soprattutto, davanti ai gruppi parlamentari, a metà pomeriggio, di questa Forza Italia de-falchizzata non fa nessun accenno.


A sera è chiaro che la partita delle colombe è persa. Quagliariello, come si diceva, esce da palazzo Grazioli furibondo, arrabbiato come solo un professore di storia sa diventarlo quando perde le staffe. La Lorenzin – raccontano voci malevole – «era isterica e piangeva» (e magari non è vero). La De Girolamo, invece, ostenta sicurezza mentre, a fine riunione dei gruppi si appartava, in un cortile di Montecitorio ormai buio e deserto, con le amiche-deputate Saltamartini e Calabria che se la coccolano assai. Lupi mostra a tutti «il sorriso tirato che mette in campo quando è nervoso e non sa come uscire da un guaio o che pesci pigliare», racconta chi lo conosce. Pare non se andrà neppure lui, dalla nuova FI, come neppure se ne dovrebbe andare la Lorenzin e, tantomeno, la De Girolamo. Lupi, invece, starebbe facendo propri i dubbi che stanno montando in queste ore in Comunione e Liberazione sulla necessità di non lasciare affondare il governo Letta.

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