lunedì 30 settembre 2013

Berlusconi ricompatta F.I. e conferma uscita dal governo

Fi non è assolutamente estremista. Lo avrebbe detto Silvio Berlusconi ai gruppi del Pdl riuniti alla Sala della Regina di Montecitorio. Il Cavaliere ha precisato di aver preso lui la scelta di ritirare la delegazione pidiellina a palazzo Chigi e di avere avvisato tutti.


Dobbiamo spiegare agli italiani le nostre ragioni, ha continuato. Fi non è un movimento di estremisti. Non sono stato costretto a far dimettere i nostri ministri, l'ho deciso io, ha ribaditoHo deciso da solo nella notte, ha spiegato, perché gli italiani non capivano come facevamo a stare al governo con la sinistra se i nostri parlamentari si erano dimessi.Poi un nuovo affondo contro la magistratura che usa la giustizia a fini politici e lo perseguita. Certi giudici sono il cancro della democrazia, avrebbe dichiarato. Parlando ai gruppi del Pdl nella sala della regina a Montecitorio, il Cavaliere avrebbe poi assicurato di aver sempre pagato le tasse.

Berlusconi è poi tornato a prendersela con Magistratura democratica. Per i giudici di Md c'è democrazia solo se la sinistra è al potere. Hanno fatto piazza pulita dei partiti democratici.Magistratura democratica è un'associazione prevalentemente segreta. In altri Paesi le toghe non hanno questo strapotere, avrebbe sottolineato Berlusconi durante l'assemblea dei gruppi del Pdl a Montecitorio.

Hanno usato la retroattività della legge Severino per allontanarmi dalla vita politica, è una cosa mai vista, ha continuato. Si tratta di una duplice situazione antidemocratica se unita alla magistratura politicizzata. Così vogliono eliminare dalla scena il leader dei moderati.La Cassazione non ha risposto alle 40 eccezioni sollevate, ha detto Berlusconi ai parlamentari del Pdl.

Poi, con una battuta, avrebbe punzecchiato i dissidenti del Pdl: c'è gente che scappa di casa, ma i panni sporchi si lavano in famiglia.Ho riunito e parlato con i ministri, con loro c'è unità d'intenti, ha detto Berlusconi, che avrebbe invitato tutti a marciare compatti. Loro temono una perdita di consensi, forse hanno ragione, ma ormai tutto è superato e lo spiegheremo agli italiani, avrebbe aggiunto il leader azzurro. Dobbiamo restare uniti, avrebbe sottolineato l'ex premier.

I ministri mi avevano dato le loro dimissioni due giorni prima, poi ho deciso da solo, ha detto ancora. Le loro giuste preoccupazioni le hanno fatte pubblicamente, anziché risolvere internamente.

I panni sporchi si lavano in famiglia, avrebbe sottolineato ancora, ma i ministri lo hanno fatto in buona fede, abbiamo chiarito tutto. Non dobbiamo dare all'esterno l'impressione che sta dando il Pd, avrebbe spiegato il Cav.Il Pd ha violato i patti, ma noi diremo sì ai decreti su Iva e Imu e poi si andrà al voto, ha continuato Berlusconi, tornando a prendersela con i suoi alleati di governo, Letta e il Pd per non aver rispettato gli impegni presi. Il Cavaliere indica la sua road map: subito il varo della legge di stabilità e poi mantenere le promesse su Imu e Iva, infine tornare alle urne.


Assicuriamo in una settimana i voti sulla cancellazione dell'Imu, per il varo della legge di stabilità che non aumenti le tasse e per l'abolizione dell'Iva. Poi puntiamo alle urne, perché non si riesce a fare riforme vere, avrebbe detto.

No a governicchi con un partito di transfughi e traditori, avrebbe poi ribadito Berlusconi.Il Cavaliere si è detto pronto a tornare il tv per spiegare agli italiani le ragioni del suo strappo con il ritiro dei ministri pidiellini dal governo Letta. Spiegherò agli italiani le ragioni della mia scelta, presto interverrò, avrebbe anticipato l'ex premier.A proposito delle 'dimissioni di massa' dei parlamentari, il Cavaliere avrebbe detto: il più bel regalo di compleanno che mi avete fatto sono state le lettere di dimissioni.

Dobbiamo restare uniti, ha detto Berlusconi che avrebbe respinto le dimissioni dei suoi parlamentari. Le parole del Cavaliere sono state accolte da un applausoDurante la riunione Berlusconi avrebbe confermato la kermesse di partito del 4 ottobre in piazza Farnese in concomitanza con il voto alla Giunta di palazzo Madama sulla sua decadenza

Alfano contro Sallusti,il segretario risponde al Giornale.

Roma - (Adnkronos) - Il vicepremier risponde all'editoriale de 'Il Giornale': "Non ci facciamo intimidire, Sallusti non ci fa paura". I ministri Pdl presentano dimissioni irrevocabili.


''E' bene dire subito al direttore de 'Il Giornale', per il riguardo che abbiamo per la testata che dirige e una volta letto il suo articolo di fondo di oggi, che noi non abbiamo paura''. E' la replica di Angelino Alfano e dei ministri dimissionari del Pdl, Nunzia De Girolamo, Beatrice Lorenzin, Maurizio Lupi e Gaetano Quagliariello all'editoriale a firma Alessandro Sallusti, pubblicato oggi su 'Il Giornale'.

''Se pensa di intimidire noi e il libero confronto dentro il nostro movimento politico, si sbaglia di grosso. Se intende impaurirci con il paragone con Gianfranco Fini, sappia che non avrà case a Montecarlo su cui costruire campagne. Se il 'metodo Boffo' ha forse funzionato con qualcuno, non funzionerà con noi che eravamo accanto a Berlusconi quando il direttore de 'Il Giornale' lavorava nella redazione che divulgò la notizia dell'informazione di garanzia al nostro presidente, durante il G7 di Napolil, nel 1994''.

Letta : mercoledi' il voto di fiducia

Roma, 30 set. (Adnkronos) - Il confronto parlamentare sulla crisi di governo comincerà mercoledì mattina al Senato. Il premier Enrico Letta farà il suo intervento alle 9,30. Per le comunicazioni del premier è prevista la diretta televisiva.


A seguito degli sviluppi della situazione, la capigruppo di Palazzo Madama ha deciso che martedì l'aula non sarà convocata, mentre il decreto sulla P.a. dovrebbe essere calendarizzato da una nuova riunione dei presidenti di gruppo per mercoledì pomeriggio.

Nel pomeriggio il confronto passerà alla Camera dove alle 16 interverrà il presidente del Consiglio. Alla Camera il presidente del Consiglio parlerà per 40 minuti, mentre due saranno le ore dedicate al dibattito: 31 minuti è il tempo concesso al gruppo Pd per gli interventi in aula; 17 minuti M5S; 16 minuti al Pdl; Scelta Civica e Sel, 12 minuti; Lega Nord e Fdi 10 minuti, gruppo Misto 10 minuti. Tutto il confronto parlamentare dovrebbe concludersi entro le 22.

Mercoledì per la concomitanza del dibattito sulle comunicazioni di Letta, non avrà luogo il previsto question time, mentre il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Dario Franceschini, ha chiesto di spostare a un altro giorno il dibattito sulla cessione di Telecom.

"Le comunicazioni del presidente del Consiglio - ha detto Franceschini, spiegando come si concluderà il dibattito - prevedono sempre la possibilità di presentare dei documenti sui quali si può porre la fiducia. Molto probabile che questo accada ma decideremo cosa fare e come procedere in base all'andamento del dibattito e a cosa diranno i gruppi".

"La fiducia si pone su eventuali risoluzioni presentate in corso di dibattito, ma la volontà del governo è di andare ad un chiarimento e quindi di porre la questione di fiducia", ha chiarito Franceschini.

Il ministro ha detto di aver chiesto la diretta televisiva, anche per la replica del presidente del Consiglio e per le dichiarazioni di voto finali, perché "è utile che il Paese veda tutto quello che sta succedendo".

Falchi e colombe e' guerra aperta

Le prese di distanza dei ministri del Pdl da Berlusconi sono il sintomo più evidente della crisi del centrodestra che covava da tempo sotto la cenere ed è alla fine esplosa nelle forme drammatiche di una sconfessione plateale ed inequivocabile dell’intenzione del capo di accelerare la fine del governo in relazione alle sue vicende giudiziarie e nel mentre si stavano approntando provvedimenti tesi alla limitazione dei “danni” derivanti da nuove tassazioni.


 La rivolta contro i cosiddetti “falchi” del Pdl che avrebbero consigliato Berlusconi, ha indotto perfino Alfano a “distinguersi” come “diversamente berlusconiano” ed intestarsi di fatto l’iniziativa, in realtà presa da altri ministri (Quagliariello, Lorenzin, Lupi, De Girolamo, oltre ad esponenti di primo piano come Cicchitto, Sacconi), che preluderà – a meno di ricomposizioni sempre possibili dell’ultima ora – ad una rottura che per ora tutti ritengono insanabile. La “conta” al Senato (ma anche alla Camera) è già iniziata: non è escluso che una vera e propria scissione si concretizzi nell’imminenza del voto di fiducia prevista per mercoledì. Se accadrà, il centrodestra può dirsi finito, almeno nella forma berlusconiana che ha assunto e che abbiamo conosciuto fino ad oggi.
I ministri dimissionari tali resteranno in questa fase, ma certamente non aderiranno alla nuova Forza Italia, come hanno esplicitamente detto i “contestatori” dell’ “estremismo”. Questi ultimi, se riusciranno a coagulare attorno a loro un cospicuo gruppo di senatori e deputati e possibile che tornino a far parte di un’altra compagine ministeriale, sempre guidata da Letta, oppure che diano vita ad un altro partito, sempre che non confluiscono (operazione difficile e al alto rischio) in un rassemblement montiano-casiniano, con un anno di ritardo sulle intenzioni manifestate alla fine dell’esperienza del governo del Professore, che potrebbe mettere le ali al progetto di “Italia popolare”.
Per saperne di più è necessario attendere la riunione dei gruppi parlamentari di questa sera, alla presenza di Berlusconi, dalla quale potrebbe venir fuori una clamorosa marcia indietro che ricompatterebbe tutto. Ma fino a quando?
Ormai qualcosa nell’inner circle berlusconiano si è rotto definitivamente. Ed è difficilmente recuperabile. I “moderati” guardano ad Alfano come antagonista della deriva radicale del Pdl la cui trasformazione in Forza Italia dovrebbe completate l’opera di acquisizione del partito da parte ci coloro che vorrebbero gettare il “nuovo” soggetto nella mischia elettorale che, nelle loro prospettive, dovrebbe essere imminente. A questo i “frondisti” non ci stanno. Sono consapevoli dei pericoli dell’instabilità e del rapido impaludamento dell’Italia. E sanno bene che non si può votare con la vigente legge elettorale a meno di non incorrere in un giudizio di illegittimità da parte della Corte costituzionale i cui effetti potrebbero perfino rovesciarsi nel dichiarare altrettanto illegittimo il Parlamento che dovesse uscire dalle urne: un fatto senza precedenti che farebbe precipitare in Paese nel caos istituzionale e civile e gli farebbe perdere la faccia di fronte al mondo. Si può correre un rischio del genere?
Se poi Forza Italia, nell’ambito di un centrodestra disorganico, dovesse correre “spacchettata” e con Berlusconi forzatamente fuori gioco, che cosa ne sarebbe di quel mondo moderato tenuto insieme per vent’anni e che oggi fa sapere, attraverso i sondaggi, che l’avventurismo di qualcuno sarebbe esiziale per la tenuta di un’aggregazione elettorale che sulla carta è ancora consistente? Il favore che si renderebbe al Pd, e a Renzi in particolare, sarebbe incalcolabile.
La situazione è, dunque, gravissima. La “guerra” tra falchi e colombe è ad un punto di non ritorno. E la speranza che il Pdl facesse esplodere le contraddizioni nel Pd, inducendolo a staccare la spina a Letta, si sono dissolte in un fine settimana ad altra tensione. Purtroppo.
Resta da oggi in campo una sola domanda: che cosa ne sarà del centrodestra? La risposta è più difficile di quanto si potesse prevedere.

Alla fine vince Minzolini, Travaglio a processo

Alla fine Minzolini ci è riuscito. Marco Travaglio dovrà rispondere in tribunale di un suo articolo del 2011 contro l’allora direttore del Tg1. A raccontarlo lo stesso Minzolini: «Insieme ad una redattrice del Tg1, Grazia Graziadei, due anni fa abbiamo querelato Marco Travaglio per diffamazione, perché nel 2010 giudicò “truffaldini” dei dati sul numero e sul costo delle intercettazioni nelle inchieste giudiziarie contenuti in un servizio del telegiornale.


Dati, ben inteso, ufficiali, forniti dal ministero di Grazia e Giustizia».  L’attuale senatore del Pdl ha ricordato che «normalmente al tribunale di Roma le richieste di rinvio a giudizio presentate dalla pubblica accusa vengono accolte nel 93% dei casi. Ma, secondo Minzolini, con il vicedirettore del Fatto «è quasi impossibile avere giustizia. L’iter processuale, diciamo, è travagliato. Il Pm chiese – visto che sulla ufficialità di quei dati non c’è dubbio alcuno – ormai più di un anno fa il rinvio a giudizio del giornalista, ma il Gup decise il non luogo a procedere. Grazie, però, alla caparbietà del legale della collega del Tg1 e mio, l’avvocato Viglione, la causa non è finita lì. Viglione, insieme al Pm (dato da non trascurare), si è rivolto alla Cassazione per ottenere un nuovo esame. E l’Alta Corte gli ha dato ragione e ha chiesto al tribunale di Roma di rivedere il caso visto che, a suo avviso, c’erano elementi per il rinvio a giudizio. Finita qui? Neanche per sogno. «Un altro Gup ha deciso di nuovo il non luogo a procedere con una sentenza, diciamo, per usare un eufemismo, superficiale. L’indomito avvocato Viglione, però, non si è arreso neppure in questa occasione: di nuovo, insieme, al Pm, si è rivolto alla Cassazione, la quale – annuncia Minzolini – ha nuovamente ordinato al Tribunale di Roma di rivedere nuovamente il “caso”».

Altro colloquio Napolitano-Letta al Quirinale

Roma, 29, sett. (Adnkronos) - Il premier Enrico Letta è salito al quirinale intorno alle 19.30 per un colloquio con il Capo dello Stato Giorgio Napolitano.

"Cercherò di vedere quali sono le possibilità per il proseguimento di questa legislatura, come ho sempre fatto quando c'è stata una crisi", aveva detto il presidente della Repubblica questa mattina da Napoli, spiegando come intende affrontare la crisi.


 "Farò un'attenta verifica dei precedenti di altre crisi, a partire da quella del secondo Governo Prodi, e secondo i criteri che da me e dai miei predecessori sono stati osservati. Vedremo la successione dei fatti", ha aggiunto.

E poi chiarisce: "Il presidente della Repubblica non si fida di un partito o di un altro. La sola strada che ho seguito e' stata quella di favorire la formazione di un govermo sulla base dei numeri, che non avevo determinato io, ma che avevano determinato gli elettori e che vedevano impossibile la formazione di un governo senza il concorso dei due maggiori partiti".

In mattinata, all'uscita dal palazzo della Prefettura di Napoli, alcune persone che attendevano in Piazza Plebiscito avevano urlato: "Sciogli le Camere".

domenica 29 settembre 2013

Forza Italia perde pezzi, via la Lorenzin e Quagliarello.

Roma, 29 set. (Adnkronos) - ''Moltissimi elettori e militanti del Popolo della Liberta' non condividono la deriva estremista che il movimento sta prendendo in quanto appare loro lontana dai bisogni di una societa' insicura ed incapace di offrire una prospettiva maggioritaria''. Lo afferma l'esponente del Pdl, Maurizio Sacconi, in una nota. "I cattivi consiglieri del Presidente Berlusconi, al quale vanno il mio augurio e la mia solidarieta', sembrano indifferenti alla condizione di molte persone, imprese e famiglie che si affidavano al contesto del pur precario equilibrio del Governo di larga intesa per ricostruire una condizione di benessere'', aggiunge l'ex ministro del lavoro.


"Cercherò di vedere quali sono le possibilità per il proseguimento di questa legislatura, come ho sempre fatto quando c'è stata una crisi". Lo ha detto il presidente Giorgio Napolitano, da villa Pignatelli a Napoli, commentando la crisi di governo aperta da Silvio Berlusconi che ha chiesto ai suoi ministri di lasciare il governo"Farò un'attenta verifica dei precedenti di altre crisi, a partire da quella del secondo Governo Prodi, e secondo i criteri che da me e dai miei predecessori sono stati osservati. Vedremo la successione dei fatti", ha aggiunto.E poi chiarisce: "Il presidente della Repubblica non si fida di un partito o di un altro. La sola strada che ho seguito p stata quella di favorire la formazione di un govermo sulla base dei numeri, che non avevo determinato io, ma che avevano determinato gli elettori e che vedevano impossibile la formazione di un governo senza il concorso dei due maggiori partiti".

In mattinata, all'uscita dal palazzo della Prefettura di Napoli, alcune persone che attendevano in Piazza Plebiscito avevano urlato: "Sciogli le Camere".

Ma in seguito alla richiesta del Cavaliere si è spaccato il Pdl. "Così non va. Forza Italia non può essere un movimento estremista in mano a degli estremisti. Noi vogliamo stare con Berlusconi, con la sua storia e con le sue idee, ma non con i suoi cattivi consiglieri. Si può lavorare per il bene del Paese essendo alternativi alla sinistra e rifiutando gli estremisti. Angelino Alfano si metta in gioco per questa buona e giusta battaglia" ha detto Maurizio Lupi il giorno dopo le sue dimissioni da ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti.

E il ministro della Salute Beatrice Lorenzin: ''Accetto senza indugio la richiesta di dimissioni fatta durante un pranzo a cui non partecipavano né i presidenti dei gruppi parlamentari, né il segretario del partito, per coerenza politica nei confronti di chi mi ha indicato come ministro di questo governo. Continuerò ad esprimere le mie idee e i miei principi nel campo del centrodestra, ma non in questa Forza Italia''.

Anche Gaetano Quagliariello, ministro per le Riforme, potrebbe non aderire al nuovo soggetto politico. Che chiarisce il ritardo della consegna delle dimissioni: "Non ho avuto alcun problema a rassegnare le dimissioni da ministro. Lo farl appena rientro a Roma", ha spiegato.

Siamo di fronte a ''una scadenza fondamentale per i destini del paese'' e ''le scelte le sto facendo da solo''. ''Io non so cosa Letta dira', credo che il discorso che fara' Letta sara' un elemento fondamentale'', perche' siamo in un ''momento che mette tutti di fronte alla propria resposanbiltia' e alla propria coscienza'', ha concluso Quagliariello.Dal centrosinistra interviene il segretario del Pd Guglielmo Epifani, che è chiaro: "Non ci interessano governicchi o trasformismi. Vogliamo lavorare per il Paese. Se ci riusciamo bene, altrimenti la parola torna ai cittadini".

"Non mi piace se si va in Parlamento alla rinfusa, random, a cercare numeri per il governo -ha spiegato il segretario del Pd-. Di fronte alle necessita' che ci sono servono numeri e consensi qualificati, perche' non e' un passaggio semplice quello che abbiamo di fronte. Non mi piacerebbe un governo che, pur facendo cose di cui il Paese ha bisogno, si rifacesse a interessi personali. Su questo c'e' unita' nel Pd".

Il presidente del Consiglio Enrico Letta incontrerà il capo dello Stato al Quirinale nel pomeriggio. 

Governo: Grillo e Casaleggio, no accordi, andiamo al voto col Porcellum

Roma, 28 set. (Adnkronos) - No ad accordi e nessuna fiducia. Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, in contatto continuo in queste ore, tracciano la linea del Movimento. E ribadiscono il loro no alla riforma del Porcellum "per evitare un super-Porcellum".


In sintesi, "no a fregature studiate apposta per metterci fuori gioco". A quanto apprende l'Asfaltato, il leader e il guru del M5S non sono sorpresi dall'accelerazione della crisi di governo. "Vedrete, dureranno poco", ripeteva Grillo ai suoi in questi giorni.

Il PDL ritira i ministri dal governo Letta,aperta la crisi.

Roma, 28 set. (Adnkronos) - ''I ministri del Pdl rassegnano le proprie dimissioni''. Angelino Alfano, vicepremier e ministro dell'Interno, a nome dell'intera delegazione del Pdl al governo dà intorno alle 18 l'annuncio che di fatto apre la crisi di governo. Le parole di Alfano arrivano poco dopo la dichiarazione diffusa nel tardo pomeriggio da Berlusconi, con l'invito del Cavaliere ai ministri del partito a "valutare l'opportunità di presentare immediatamente le proprie dimissioni per non rendersi complici, e per non rendere complice il Popolo della libertà, di una ulteriore odiosa vessazione imposta dalla sinistra agli italiani''.


Poco dopo gli stessi ministri confermano il passo indietro: ''A seguito dell'invito del presidente Berlusconi a dimetterci dal governo per le conclusioni alle quali il consiglio dei ministri di ieri è giunto sui temi della giustizia e del fisco, non riteniamo vi siano più le condizioni per restare nell'esecutivo dove abbiamo fin qui lavorato nell'interesse del Paese e nel rispetto del programma del Popolo della Liberta'''. E' quanto dichiarano in una nota congiunta Angelino Alfano, Nunzia De Girolamo, Beatrice Lorenzi, Maurizio Lupi e Gaetano Quagliariello, componenti della delegazione del Pdl al governo. ''Rassegniamo le nostre dimissioni anche al fine di consentire, sin dai prossimi giorni, un più schietto confronto e una più chiara assunzione di responsabilità'', concludono i ministri del Pdl.

Il Cavaliere, dopo un vero e proprio consiglio di guerra con i fedelissimi e gli amici di sempre (da Fedele Confalonieri a Ennio Doris a Gianni Letta) ha deciso il 'grande passo'. Già da tempo avevano deciso di togliermi di mezzo, sono sempre stato responsabile ma stavolta non mi presterò ai loro giochetti, così non si poteva andare avanti, avrebbe detto ai suoi il Cav. Non passeremo per quelli che mettono le mani nelle tasche degli italiani, avrebbe spiegato. Prima la decisione di annunciare che non si presterà alla ''sceneggiata'' della giunta per le elezioni del Senato, dove, sostiene nella memoria difensiva depositata oggi, ''il copione p gia' scritto''. E poi la scelta di passare al contrattacco, staccando di fatto la spina al governo Letta. Nel pomeriggio il Rubicone ormai è varcato con l'annuncio del ritiro della delegazione pidiellina al governo e l'accusa rivolta a Pd e premier di aver violato i patti sull'Iva.

La sinistra pensa di scaricarci la colpa di aver aumentato l'Iva e di aver rinviato l'Imu, questo e' inaccettabile per noi, avrebbe detto l'ex premier. E ancora: abbiamo tentato di accelerare i tempi e di arrivare all'approvazione dell'Iva prima della fiducia, anticipando a lunedi' il dibattito parlamentare, ma loro, da veri irresponsabili, non hanno voluto. Spieghero' agli italiani cosa e' successo. Berlusconi, raccontano, e' pronto ad ogni evenienza e avrebbe mobilitato il partito come ai vecchi tempi. E' stata confermata per il 4 ottobre la manifestazione in piazza Farnese e altre iniziative sono in cantiere. ''Dopo il ritiro dei ministri, ho trovato Berlusconi determinato e sollevato per la decisione presa'', confida un ex ministro azzurro.

sabato 28 settembre 2013

Il governo è appeso ad un filo

Il chiarimento in Consiglio dei ministri è fallito. Il governo è appeso ad un filo. Lo scontro totale tra Pd e Pdl ha fatto saltare la "manovrina", rendendo quasi inevitabile l'aumento dell'Iva dal primo ottobre. Ma soprattutto, a Palazzo Chigi, si è consumato lo strappo forse definitivo tra i due principali partiti di maggioranza.



Il premier Letta chiederà la fiducia alle Camere all'inizio della prossima settimana e verificherà in Parlamento se ha ancora in numeri per governare. "Un'efficace azione di governo è evidentemente incompatibile con le dimissioni in blocco dei membri di un gruppo parlamentare che dovrebbe sostenere quello stesso esecutivo. O si rilancia o si chiude questa esperienza", ha detto il Presidente del Consiglio aggiungendo: "Non ho alcuna intenzione di vivacchiare o di prestare il fianco a continue minacce e aut-aut. Quanto accaduto mercoledì scorso proprio mentre rappresentavo l'Italia all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite è inaccettabile". In attesa del chiarimento in Parlamento, il Cdm ha bloccato ogni decisione governativa sui temi di natura fiscale ed economica. "La sospensione è dovuta in particolare all'impossibilità di impegnare il bilancio su operazioni che valgono miliardi di euro senza la garanzia di una continuità nell'azione di governo e Parlamento", si legge nella nota di Palazzo Chigi. Il governo "l'ha voluto il Pdl e il Pdl non si fa scaricare le responsabilità di un'eventuale crisi", ha ribattuto, a quanto si apprende, il vice premier Angelino Alfano. Il segretario Pdl rilancia la richiesta di chiarimento fatta dal premier. "Non vogliamo chiarimenti - assicura - che servono per tirare a campare. Il governo va avanti se centra gli obiettivi. Occorre mettere la giustizia dentro il chiarimento. Senza questo sarebbe ipocrita". L'incontro Letta - Napolitano - Prima del Cdm il premier è stato quasi un'ora e mezza a colloquio con Napolitano al Quirinale. Dopo le minacce di dimissioni del Pdl, Letta, rientrato dagli Stati Uniti, ha incontrato il capo dello Stato per fare il punto della situazione ed ha dato il suo benestare al doppio chiarimento in Cdm e in Aula. Intanto, nella giornata di venerdì 27 settembre, il presidente della Repubblica è tornato a farsi sentire anche in pubblico. Parlando da Milano, ha accusato: oggi gli scontri politici, diversamente che in passato, producono "smarrimento di ogni nozione di confronto civile e di ogni costume di rispetto istituzionale e personale". Il capo dello Stato ha definito anche "un'anomalia italiana" il voto anticipato.

venerdì 27 settembre 2013

Finito incontro Letta-Napolitano

Finito incontro Letta-Napolitano Confronto durato oltre un'ora


Letta con Napolitano prima del giuramento del 28 aprile scorso (Quirinale)

Roma, 27 set. (Adnkronos/Ign) - Ore decisive per la tenuta del governo dopo la minaccia da parte del Pdl di dimissioni di massain caso di decadenza da senatore di Silvio Berlusconi.

Il premier Enrico Letta, rientrato a Roma alle 12 dopo la visita in Canada e Stati Uniti, si è recato al Quirinale per l'incontro con il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che è durato circa un'ora e mezza.

Prima del colloquio con il Capo dello Stato il premier ha iniziato un giro di colloqui.

Prima ha visto Dario Franceschini, primo contatto 'di persona' con il ministro per i rapporti con il Parlamento che durante la sua assenza ha svolto il ruolo di 'ufficiale di collegamento' tra il premier e il resto dell'esecutivo. Poi l'incontro con il suo vice e segretario del Pdl, Angelino Alfano. Quindi quello con il segretario del Pd Guglielmo Epifani, .

Mentre ha sentito al telefono Mario Monti, leader di Scelta civica. L'ultimo incontro prima di salire al Colle è stato con Gianni Letta. A tutti, si apprende da fonti palazzo Chigi, il premier ha trasferito la sua determinazione ad andare avanti nel percorso del chiarimento. Un chiarimento, si fa notare, che dovrà ''avvenire al più presto, in Parlamento, e dovrà essere senza se e senza ma''.

Reduce dal colloquio con il premier, Alfano si è recato in via del Plebiscito per partecipare a un vertice del Pdl con Silvio Berlusconi. A Palazzo Grazioli sono presenti i capigruppo del Senato e della Camera, Renato Schifani e Renato Brunetta.

In attesa dell'esito di questi incontri continua la fibrillazione all'interno della maggioranza con botta e risposta tra i maggiori esponenti.

Secondo il capogruppo Pdl alla Camera Renato Brunetta, ''il governo non c'entra in questa vicenda, o meglio; il governo viene eletto da una maggioranza, nella maggioranza ci sono Pd, Pdl-Fi e Sc''. ''Bene, non è possibile che questa stessa maggioranza che regge il governo cambi al Senato per votare retroattivamente la decadenza di Berlusconi", ha sottolineato in una dichiarazione a 'Prima di tutto' su Radio Rai Uno. "La fiducia? Se sarà per il governo, non ci sarà alcun problema, il problema sarà del Partito democratico: con chi vota la fiducia, con la stessa maggioranza con cui vuol far decadere Berlusconi?".

Per il senatore e coordinatore del Pdl Sandro Bondi, "se ancora sopravvivesse un residuo di serietà in questo sventurato Paese, si prenderebbe atto senza perdere nemmeno un secondo della crisi di un governo e di una maggioranza che non esistono più da tempo almeno dal momento in cui il Pd ha dichiarato guerra ad un proprio alleato di governo".

Dario Franceschini risponde a Brunetta. "Non c'è più tempo per ipocrisie e furbizie", ha detto il ministro. "Abbiamo visto parole e gesti - ha proseguito - che stanno facendo un danno enorme al Paese e a ogni singolo italiano. Nei prossimi giorni, già nelle prossime ore, il chiarimento sarà un modo non per prendere tempo ma per fare chiarezza".

L'affondo arriva da Guglielmo Epifani. "Quello del Pdl è un colpo alla schiena dell'Italia che lavora e che cerca di uscire dalla crisi", ha detto alla direzione del Pd. "Il Pdl sta scherzando con il fuoco. Una crisi ora è da irresponsabili - ha osservato -. Stiamo vedendo la ripresa e il Pdl sta rischiando di far precipitare di nuovo la situazione economica". Per Epifani, dopo l'iniziativa del Pdl, "tocca a Letta aprire un chiarimento risolutivo in Parlamento". Mentre "per quello che riguarda il Pd, noi vogliamo una nuova legge elettorale".

Replicano Renato Brunetta e Renato Schifani. "Rispediamo, con decisione, al mittente le opportunistiche accuse che ci rivolge il segretario pro tempore del Pd, Guglielmo Epifani - ha dichiarato il capogruppo Pdl alla Camera -. Dal nostro schieramento politico nessun 'colpo alla schiena del Paese', ma anzi un'iniziativa senza precedenti nella storia della Repubblica proprio per difendere i principi di libertà e democrazia sulle quali si fondano le nostre istituzioni repubblicane". ''E' il Pd - accusa Brunetta - con il suo atteggiamento irresponsabile e contro i dettami della Costituzione, che sta umiliando l'Italia agli occhi del mondo''. Per il presidente dei senatori del Pdl, "i veri traditori dell'Italia sono quelli che hanno minato quotidianamente, fin dalla sua nascita, un governo che avrebbe dovuto essere di pacificazione".

La Lega chiede le dimissioni di Letta. "Per me la scelta principale sono le elezioni anticipate, naturalmente, però, non dipende da noi, dipende dal Presidente Napolitano", ha osservato Roberto Maroni, presidente di Regione Lombardia. Secondo Maroni, ''non solo la dichiarazione del Pdl, ma anche il fatto che hanno raccolto le firme ieri sera è una mozione di sfiducia palese nei confronti del Governo. Quindi Letta dovrebbe fare solo una cosa: rassegnare le proprie dimissioni al presidente Napolitano.

Arriva la bacchettata dell'Ue. "Ciascuno si prenda le sue responsabilità nella vita politica italiana", ha detto un portavoce della Commissione europea.

Concluso vertice Pdl

Governo: concluso vertice F.I., Berlusconi lascia Roma

(AGI) - Roma, 27 set. - Si e' concluso dopo oltre due ore e mezza a palazzo Grazioli l'incontro tra Silvio Berlusconi, il segretario del Pdl e vice premier, Angelino Alfano, e i capigruppo di Senato e Camera, Renato Schifani e Renato Brunetta. Alla riunione hanno partecipato anche Fabrizio Cicchitto e Denis Verdini che hanno lasciato il vertice intorno alle 18.00



 Al termine dell'incontro, anche Berlusconi ha lasciato palazzo Grazioli ed e' partito probabilmente alla volta di Arcore.
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A passo lento verso la crisi...

Il presidente della Repubblica partecipa a un convegno alla Bocconi di Milano . Si parla di Luigi Spaventa, ma anche di politica: Spaventa si impegnò in Parlamento dal 1976 al 1983, «due legislature entrambe raccorciate, prassi molto italiana, da scioglimenti precoci delle Camere», dice il Capo dello Stato. «Parlo qui della politica non come consapevolezza dell’interesse generale, senso del dovere civico, percezione responsabile dei problemi della società e dello Stato, perché di questa dimensione, propria del vivere in democrazia, ogni cittadino dovrebbe essere partecipe». Napolitano non perde l’occasione per bacchettare i partiti: « Oggi gli scontri politici, diversamente che in passato, producono «smarrimento di ogni nozione di confronto civile e di ogni costume di rispetto istituzionale e personale». 



Intanto, dopo che per giorni il Pd ha guardato le mosse del Cavaliere con preoccupazione ma anche pensando al bluff, tra i Dem si concretizza il pessimismo sulla durata delle larghe intese. Indipendentemente dall’area, infatti, tra i dirigenti del Pd c’è l’idea che il Pdl abbia ormai dato via allo show down. E che, anche nel caso la verifica di governo abbia un esito positivo, ci sia la determinazione a logorare Letta ogni giorno. Quanto sta avvenendo «va preso sul serio» e quindi «tocca al premier aprire in Parlamento un chiarimento che deve essere chiaro e risolutivo», avverte il segretario del Pd, Guglielmo Epifani, parlando alla direzione del partito e sottolineando che il Pd è con lui. La linea è fissata: «Il governo ha una via obbligata, dopo aver riferito a Napolitano, aprire in Parlamento un chiarimento risolutivo» sulla situazione e «in questo il Pd sosterrà» Letta. 

Oggi Letta dovrebbe incontrare anche i ministri del Pdl. La strategia - approvata da Napolitano - , mira a riportare la crisi in Parlamento. Come? Attraverso una verifica di governo che potrebbe passare, si ragiona in ambienti parlamentari, anche attraverso un voto di fiducia da calendarizzare prima del fatidico 4 ottobre, giorno in cui si potrebbe realizzare la decadenza del Cavaliere da senatore. Chiuso l’argomento agibilità politica di Berlusconi, rimane però tutto in piedi il problema di come puntellare il sistema sull’orlo del collasso, sia strutturale che emotivo. Punto primo: calma e gesso. Nessuno parli ora di dimissioni del premier, di un Letta bis, di Governo di scopo e chi più ne ha più ne metta. Al Quirinale non è arrivato ancora nulla di ufficiale e si guarda con il consueto disincanto alle fibrillazioni del Pdl che ormai datano all’inizio dell’estate. Certo, Napolitano non sottovaluta la gravità del disagio del Pdl ma ricorda che c’è ancora tempo per esprimere in varie forme la solidarietà dovuta al leader ferito. Quel che conta in queste ore è riportare il dibattito nei canali giusti e far sapere pubblicamente al Paese cosa succede. Ecco perché, dopo aver respinto al mittente le accuse di «colpo di Stato» o di «operazioni eversive» in atto contro il Cavaliere, Napolitano ha consigliato il giovane Letta di snidare il Pdl in Parlamento. O attraverso una verifica sui singoli provvedimenti o - più probabilmente - attraverso un voto di fiducia.

Manifestazione F.I. a Roma il 4 ottobre

Il 4 ottobre a Roma andrà in scena la manifestazione di Forza Italia per sostenere Silvio Berlusconi. "Per reagire all'attacco contro il presidente Silvio Berlusconi e il diritto alla piena rappresentanza di milioni di italiani che lo votano, Forza Italia ha deciso di convocare una manifestazione per venerdì 4 ottobre, in concomitanza con la riunione della Giunta per le autorizzazioni del Senato. La manifestazione dal titolo 'Siamo tutti decaduti' - si legge sul sito - si terrà alle ore 17 a Roma, a Piazza Farnese. L'attacco allo stato di diritto e ai fondamentali principi democratici merita una nostra fortissima risposta. Ti aspettiamo, non mancare".



 Intanto, è in corso una riunione a Palazzo Grazioli tra Silvio Berlusconi e i big del Pdl. A via del Plebiscito sono ora presenti i due capigruppo di Camera e Senato Renato Brunetta e Renato Schifani. Atteso anche il vice premier Angelino Alfano, ora a palazzo Chigi per incontrare il premier Enrico Letta.

De Gregorio accusa Berlusconi a Servizio Pubblico ma cade in contraddizione continuamente.

De Gregorio racconta la sua verita' cadendo in constanti contraddizioni di date e fatti ma il pubblico lo applaude lo stesso,Belpietro nell'arena di Santoro si batte come un leone con un pubblico schierato come in una partita di calcio. Travaglio solita mitraglia di accuse non fa piu' notizia.

 

ROMA - Fu Silvio Berlusconi a pilotare la "strategia di sabotaggio" per far cadere il governo Prodi. Sergio De Gregorio, in un'intervista rilasciata alla trasmissione di Michele Santoro per La7, conferma le accuse già fatte davanti ai magistrati. E ricostruisce quanto accadde nel 2008, subito prima della caduta del governo di centrosinistra: "Ho dato dimostrazione ai pm di quanto raccontato. I tre milioni avuti li ho versati sui conti correnti delle mie società. Ho portato le prove dei versamenti. Non sono un visionario e non ho mai detto nulla che non sapessi con certezza". All'intervistatore che gli ricorda che materialmente il denaro gli fu versato da Valter Lavitola, l'ex senatore risponde: "Silvio Berlusconi mi ha supportato e spinto perchè attivassi quella strategia di sabotaggio".

De Gregorio racconta di essere stato "comprato, usato e gettato via". Dopo l'arresto di Valter Lavitola dice di essersi "preoccupato" e di averi riferito del suo timore "che quella cosa ci piombasse addosso" al legale di Silvio Berlusconi, Niccolò Ghedini. Ma le sue preoccupazioni - dice - furono "sottovalutate" e alla sua richiesta di sentirsi vicini i vertici del Pdl gli fu risposto con il silenzio. Chiesi a Berlusconi di incontrarlo e a dicembre mi arrivò una telefonata della sua segretaria - dice - in questi sei mesi di anticamera ho capito che avevano pensato di comprare, usando e gettando, un uomo che aveva fatto per loro tanti servizi.

De Gregorio ha ripetuto di aver ricevuto dal coordinatore del Pdl, Denis Verdini, l'offerta di una candidatura ma di aver rifiutato perchè "ho deciso di uscire dalla politica". E ha confermato anche la sua ricostruzione di come siano state bloccate le indagini su Berlusconi e su Frank Agrama, cioè le pressioni sulle autorità Hong Kong per fermare le inchieste della magistratura italiana sui fondi neri. Infine, il giudizio sul Cavaliere. Dal parlamento italiano "non sono usciti tutti gli impresentabili. Il primo degli impresentabili è il capo del partito".

giovedì 26 settembre 2013

Dichiarazioni di Enrico Letta dagli USA

"E' una vergogna per l'Italia", con queste parole il presidente del consiglio Letta, ha iniziato la sua conferenza stampa da New York,

 "non e' una vergogna mia ma dell'Italia come paese" - "tornero' a Roma e so' che convincero' sulle tematiche dei provvedimenti che sono in agenda le forze parlamentari  " - " ma c'e' bisogno di una verifica " il disagio all'inteno del PDL e' legittimo e comprensibile,e anche  umano ma continuo a ritenere che non si possa scegliere tra muoia Sansone con tutti i filistei e il futuro dell'Italia, che non gioverebbe a nessuno, l'Italia deve andare avanti non puo' tornare indietro, in Italia non c'e' alcun golpe ed esiste lo stato di diritto" - a concluso Letta.

Schifani : 87 senatori su 91 hanno firmato dimissioni.

In una nota Renato Schifani capogruppo dei senatori PDL ha sottolineato che 87 senatori su 91 avrebbero firmato le dimissioni,e che i mancanti firmeranno nelle prossime ore a questo punto sul piatto delle ipotesi per Napolitano sembra aprirsi uno scenario mai verificatosi prima, una crisi breve che potrebbe provocare immediate elezioni politiche.
Le dichiarazioni del capogruppo PDL vengono al termine di una giornata concitata con prima le dichiarazioni del Quirinale su dimissioni inquietanti e quelle di Letta che tornando a Roma vuole verificare la tenuta del governo.

Telecom, il Tesoro studia modifiche a soglia Opa. E il titolo vola in Borsa

 Telecom schizza a Piazza Affari e chiude a +4 per cento. A far scattare l'aumento l'ipotesi di una nuova legge per abbassare il limite entro il quale diventa obbligatorio presentare un'offerta pubblica d'acquisto. Intanto il governo estende la golden share anche alla rete italiana.


Telecom brilla a Piazza Affari: il titolo chiude con un balzo di oltre 4 punti, dopo uno stop per eccesso di rialzo in giornata. Brillanti gli scambi, per oltre 386 milioni, pari ad oltre il doppio di una normale seduta. L'ottima performance segnata dal titolo arriva alla notizia dell'ipotesi di una nuova legge per abbassare la soglia d'Opa.

Ridurre la soglia dell'OpaIl governo sta infatti studiando "possibili alternative" al limite entro il quale è obbligatorio far scattare un'offerta pubblica di acquisto. Ad affermarlo è il sottosegretario all'Economia, Alberto Giorgetti, nel corso di un'audizione in Senato sul caso Telecom. "Le società potrebbero essere autorizzate a definire per via statutaria una soglia inferiore a quella prevista dalla normativa", cioè il 30%, al superamento della quale scatterebbe l'obbligo di offerta. Anche laddove questa modifica non ci fosse è bene ricordare che gli spagnoli puntano ad acquisire il controllo di Telco che detiene solo il 22,4% di Telecom. Dunque anche in caso di un'acquisizione integrale Telefonica non avrebbe comunque il 30% dell'azienda italiana.

"Sottoposti a Golden share" Domani intanto arriva in Consiglio dei ministri la bozza del Decreto per l'applicazione della golden share - vale a dire poteri straordinari dello Stato nei confronti di un'azienda privatizzata - anche in caso di impianti 'sensibili' per l'interesse pubblico. Nel testo si legge che anche ''le reti e gli impianti utilizzati per la fornitura dell'accesso agli utenti finali nei servizi rientranti negli obblighi del servizio universale'' delle comunicazioni rientrano tra le attività strategiche sottoposte alla golden share.

Alitalia : 14 ottobre assemblea per aumento di capitale, nei primi 6 mesi perdite per 294 milioni di euro


Via libera ad un aumento di capitale di 100 milioni di euro. A deliberarlo, secondo quanto si apprende da fonti vicine all’operazione, è stato il consiglio di amministrazione di Alitalia nel corso della lunga riunione che si è svolta oggi.


In apparenza sembra una mossa difensiva, in realtà è il primo passo di Alitalia verso le nozze con i franco-olandesi. L’amministratore delegato Del Torchio e Colaninno hanno voluto evitare il rischio che il socio franco-olandese si mettesse ad attendere sull’argine i resti di un’azienda fallita. Ecco spiegata quindi la mossa. L’aumento di capitale serve quindi ad allungare la vita ad Alitalia, ma in realtà, non potendo prescidere dal consenso del socio straniero francese, serve allo stesso ad avvicinare la fusione senza contraccolpi.

Nelle scorse settimane Del Torchio aveva quantificato in 355 milioni le esigenze di cassa, reperibili per 55 milioni dai soci che non avevano sottoscritto un precedente prestito di 150 milioni, altri 300 attraverso la ristrutturazione del debito, l’allungamento delle scadenze e il reperimento di mezzi finanziari freschi sul mercato. Il debito Alitalia ammonta complessivamente a 1,1 miliardi, circa 500 dei quali sono esposizioni verso le banche, il resto è frutto degli impegni presi da Alitalia per l’acquisto degli Airbus ordinati da Carlo Toto, tuttora socio ed ex patron dell’Air One.

L’altro nodo da sciogliere è capire che fine farà la quota inoptata dell’aumento di capitale, viste le difficoltà finanziarie e giudiziarie di numerosi soci di minoranza. Che ne sarà ad esempio delle quote che certamente non sottoscriveranno Riva, Ligresti o Bellavista Caltagirone? Lo farà Air France, aumentando in questo modo la sua partecipazione fino a raggiungere il 50% delle quote? Molto dipenderà dall’esito della trattativa sul debito e da quella - parallela e sotterranea - della politica.

Anche i parlamentari della Lega pronti a lasciare,e' crisi di governo?

 Letta chiede una verifica dei numeri per il governo al suo rientro a Roma ma...

 
Se la posizione annunciata ieri sera dal Pdl sarà seguita dai fatti, sosterremo questa azione", ha annunciato Roberto Maroni.
Il segretario del Carroccio è a Torino con Roberto Cota per l’inaugurazione della prima edizione di Smart Mobility World, evento sui temi della smart city e della green mobility, ma non rinuncia a un commento sulla situazione politica del Paese. "Ho letto queste dichiarazioni molto bellicose dei deputati e senatori del Pdl che minacciano di dimettersi in massa", ha aggiunto, "Se è vero mi sembra un fatto politicamente rilevante. Staremo a vedere se sarà così. Le dimissioni in massa del Pdl significano due cose: fine del governo Letta e fine della legislatura. Se fosse così noi saremmo della partita ovviamente".
Un'idea che non dispiace neanche a Matteo Salvini, che è però più cauto. "Ci penseremo se ce lo chiederanno, ma la questione non occupa i nostri pensieri", ha detto ad Affaritaliani.it il vicesegretario, "Non mi permetto di giudicare il Pdl che ha le sue preoccupazioni. È una discussione di cui non ce ne frega niente. Non ci interessa nulla. Oggi i parlamentari della Lega sono in Val Camonica al fianco degli operai della Riva. Sono loro i nostri alleati, semmai ci dimettiamo per loro".

Intanto il presidente del Consiglio Enrico Letta starebbe valutando di chiedere, al suo rientro a Roma dagli Stati Uniti, una verifica della maggioranza.

Comunicato ufficiale del Quirinale.

Aggiornamento delle ore 13.15
 
Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha rilasciato la seguente dichiarazione:



L'orientamento assunto ieri sera dall'Assemblea dei gruppi parlamentari del PdL non è stato formalizzato in un documento conclusivo reso pubblico e portato a conoscenza dei Presidenti delle Camere e del Presidente della Repubblica. Ma non posso egualmente che definire inquietante l'annuncio di dimissioni in massa dal Parlamento - ovvero di dimissioni individuali, le sole presentabili - di tutti gli eletti nel PdL. Ciò configurerebbe infatti l'intento, o produrrebbe l'effetto, di colpire alla radice la funzionalità delle Camere. Non meno inquietante sarebbe il proposito di compiere tale gesto al fine di esercitare un'estrema pressione sul Capo dello Stato per il più ravvicinato scioglimento delle Camere. C'è ancora tempo, e mi auguro se ne faccia buon uso, per trovare il modo di esprimere - se è questa la volontà dei parlamentari del PdL - la loro vicinanza politica e umana al Presidente del PdL, senza mettere in causa il pieno svolgimento delle funzioni dei due rami del Parlamento. Non occorre poi neppure rilevare la gravità e assurdità dell'evocare un "colpo di Stato" o una "operazione eversiva" in atto contro il leader del PdL. L'applicazione di una sentenza di condanna definitiva, inflitta secondo le norme del nostro ordinamento giuridico per fatti specifici di violazione della legge, è dato costitutivo di qualsiasi Stato di diritto in Europa, così come lo è la non interferenza del Capo dello Stato o del Primo Ministro in decisioni indipendenti dell'autorità giudiziaria.

mercoledì 25 settembre 2013

Dimissioni di tutti i parlamentari PDL ? Segnale Forte di Berlusconi !

Fibrillazione nel PDL tecnicamente, ministri e parlamentari consegneranno le proprie lettere di dimissione nelle mani dei due capigruppo alla Camera (Renato Brunetta) e a Palazzo Madama (Renato Schifani). Lo scenario è stato raccontato da un deputato "falco" del Pdl a La Zanzara su Radio24: "Stavolta è impossibile una retromarcia, che poi queste dimissioni verranno consegnate domani o un altro giorno poco cambia". "Alla presenza di Berlusconi - dice ancora il deputato - i capigruppo proporranno le dimissioni e noi diremo sì". "Si va nella direzione che ho sempre suggerito", conferma alla Zanzara l'ex ministro Gianfranco Rotondi.

Intanto, Silvio Berlusconi ha trasferito la propria residenza a Roma, in via del plebiscito, dove è palazzo Grazioli, nel quale il Cavaliere alloggia e tiene le sue principali attività politiche quando è nella Capitale. Lo hanno riferito a Radiocor fonti dell'anagrafe capitolina. Il cambio di residenza rispetto a quella precedente lombarda, ad Arcore, secondo fonti politiche si inquadra nel ventaglio delle valutazioni che Berlusconi sta compiendo per la esecuzione della condanna per frode fiscale a seguito del processo Mediaset-diritti tv. Entro 15 ottobre dovrà infatti scegliere fra detenzione domiciliare o affidamento ai servizi sociali.

Augusto Minzolini fatto fuori dalla RAI perche' schierato?

Incredibile sentenza del Tribunale del Lavoro contro il riintegro del ex direttore del TG1



Il tribunale del Lavoro di Roma ha rigettato il ricorso di Augusto Minzolini per il reintegro nella posizione di direttore del Tg1. Lo si apprende in ambienti Rai. E l'azienda in una nota esprime "soddisfazione per una sentenza che attesta inequivocabilmente la correttezza del proprio operato nella complessa ed articolata vicenda" che ha riguardato l'ex direttore del Tg1 e ora senatore. L'azienda si riserva inoltre "ulteriori approfondimenti, appena esaminata la relativa motivazione" della decisione dell magistrato del lavoro.Il Tribunale del lavoro di Roma sottolinea che l'ex direttore del Tg1 non commise peculato, ma gli nega il reintegro perché il ruolo in azienda è incompatibile con quello di senatore Pdl. I legali: "Restrizioni non applicabili alla Rai". Minzolini: "Ancora due pesi e due misure: Santoro tornò al suo posto, anche se parlamentare europeo dell'Ulivo-Ds".

martedì 24 settembre 2013

Giorgio Napolitano aiuta Enrico Letta e tesse la tela Pd-Pdl sulla legge di stabilità. Ma l'intesa è lontana


Data per appurata la decadenza di Silvio Berlusconi dal Senato con la condanna Mediaset, Enrico Letta e Giorgio Napolitano sono al lavoro per inaugurare la fase due di un governo che secondo loro ha ancora chance per andare avanti. Mentre il premier è impegnato nel tour di Stato americano, a Roma il presidente della Repubblica passa dalle parole ai fatti. “Niente rotture politiche”, aveva auspicato all’inaugurazione dell’anno scolastico. Riflessioni che ha voluto ripetere agli interlocutori politici ricevuti al Quirinale in giornata. Prima Angelino Alfano, poi Dario Franceschini, quindi Guglielmo Epifani. Sul tavolo, un patto di coalizione sulla legge di stabilità. Il capo dello Stato ha avviato il lavoro diplomatico che tesserà anche Letta al ritorno in Italia. Obiettivo: comporre una tela che porti ad un’intesa sul provvedimento finanziario il cui decreto dovrà essere varato dal consiglio dei ministri entro il 15 ottobre. Ma per ora anche il presidente della Repubblica si imbatte sulla solita incognita: il Cavaliere.
Non è un caso, ragionano fonti di governo, che Alfano venga definito ‘segretario del Pdl’ nella nota diramata dal Colle a fine incontro. Certo, di fatto, quella è ancora la sua carica ufficiale. Ma nei palazzi delle istituzioni si domandano se il vice premier sarà anche leader della ‘nuova creatura’, Forza Italia. E soprattutto se questa rediviva forza politica, battezzata la settimana scorsa e molto voluta dai falchi del Pdl, questo nuovo arrivato a legislatura avviata e dunque ufficialmente privo di parlamentari eletti, confermerà in tutto e per tutto l’appoggio al governo Letta. Insomma, Forza Italia è solo un divertissement del Cavaliere per caricare i suoi, magari in vista di un ritorno alle urne in futuro, oppure è un ‘Giano bifronte’ con il Pdl: da una lato sì al governo, dall’altro no? Sabbie mobili. Visto che, a quanto pare, Alfano non ha saputo e potuto garantire alcunché a Napolitano. Della serie: non sono in condizioni di assicurare nulla, sintetizzano fonti Pdl. Dunque, l’intesa sulla legge di stabilità, che nelle intenzioni di Letta e Napolitano dovrebbe essere bombola d’ossigeno per il governo, ancora non è affatto al sicuro. Sebbene si sappia che la legge debba essere approvata entro fine anno.
Un alone di incertezza che ha portato Palazzo Chigi a frenare sulla prova d’aula. Tentare di verificare la maggioranza su una bozza di accordo prima che la legge di stabilità venga cucinata in cdm potrebbe rivelarsi rischioso. In questa fase, sottolineano dall’entourage del premier, l’approccio prescelto è morbido, “rispettoso delle prerogative del Parlamento”, sulla legge di stabilità “non ci sarà un prendere o lasciare”. Allo stato, non è all’orizzonte nemmeno una prova di forza sulla fiducia. Prima andrà concluso tutto un lavoro diplomatico con Pd e Pdl e tra i due azionisti di maggioranza. E non è escluso che si arrivi ad un’intesa all’ultimo minuto. In mezzo c’è il voto sulla decadenza di Berlusconi, che sarà anche scoglio assodato e messo in conto a Palazzo Chigi, ma dalle parti di Palazzo Grazioli è ancora boccone più che indigesto, tale da lasciar presagire fulmini di guerra dall’esito indefinito.
Intanto, Letta e Franceschini contano molto di uscire dal consiglio dei ministri di venerdì con una soluzione che riporti il rapporto deficit-pil al 3 per cento (il def di luglio prevede uno sforamento dello 0,1 per cento) e così metta il paese al riparo dal controllo dell’Europa sulla legge di stabilità. E poi la stessa riunione di esecutivo dovrebbe anche produrre un decreto per posticipare l’aumento dell’Iva a fine anno, invece che il primo ottobre. Siccome sull’Imu c’è ancora discreta maretta – a dir poco – la questione viene debitamente tenuta lontano dai tavoli: c’è tempo fino a fine anno per decidere che fare della seconda rata. Il punto è trovare le risorse per consentire tutti questi passi. Il punto è anche cosa succederà nel frattempo in maggioranza. Non sfuggono le ultime ‘scazzottate’ parlamentari tra Pd e Pdl sul finanziamento pubblico ai partiti. Letta per ora sta a guardare, ma se entro l’autunno il Parlamento non produrrà una legge, il governo andrà avanti per decreto. Lo ha già detto, intenzione confermata: “Ne andrebbe della sua credibilità”, ripetono i suoi ricordando che sull’abolizione del finanziamento pubblico il premier ha ottenuto la prima fiducia in Parlamento. Checché ne dicano al Nazareno, dove sull’argomento prevale una linea contraria.

La Corte europea dei diritti dell'uomo: no al carcere per i giornalisti

Strasburgo dà ragione a Maurizio Belpietro, direttore di Libero, condannato a quattro anni dalla Corte d’Appello di Milano per diffamazione



Condannare un giornalista alla prigione è una violazione della libertà d’espressione, salvo casi eccezionali come incitamento alla violenza o diffusione di discorsi razzisti.
A stabilirlo, ancora una volta. è la Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza in cui dà ragione a Maurizio Belpietro, direttore di Libero, condannato a quattro anni dalla Corte d’Appello di Milano.
Belpietro fu condannato per diffamazione a quattro anni di carcere, poi sospesi, per aver pubblicato, nel novembre 2004, un articolo firmato da Raffaele Iannuzzi dal titolo "Mafia, 13 anni di scontri tra pm e carabinieri", ritenuto diffamatorio nei confronti dei magistrati Giancarlo Caselli e Guido Lo Forte. I giudici di Strasburgo nella sentenza spiegano che una pena così severa rappresenti una violazione del diritto alla libertà d’espressione del direttore di Libero. La Corte sottolinea infatti che Belpietro venne condannato dalla Corte d’Appello di Milano non solo a risarcire Lo Forte e Caselli per un totale di 110 mila euro, ma fu anche condannato a quattro anni di prigione.
Secondo la Corte è questa parte della condanna, anche se poi sospesa, a costituire una violazione della libertà d’espressione. La Corte infatti ritiene che, nonostante spetti alla giurisdizione interna fissare le pene, la prigione per un reato commesso a mezzo stampa è quasi sempre incompatibile con la libertà d’espressione dei giornalisti, garantita dall’articolo 10 della convenzione europea dei diritti umani. Insomma, per i giudici di Strasburgo, nonostante l’articolo di Iannuzzi sia stato giustamente considerato diffamatorio, esso non rientra in quei casi eccezionali per cui può essere prevista la prigione. Strasburgo ha condannato l'Italia per aver violato il diritto alla libertà d'espressione di Belpietro. Per questa ragione, lo Stato dovrà versare al direttore di Libero 10mila euro per danni morali e 5mila per le spese processuali. (Nico Di Giuseppe)

La profezia Emilio Fede e il futuro di Berlusconi: "Silvio andrà ai servizi sociali in una casa di riposo..."

L'amico di una vita confessa: "Ne abbiamo parlato, lo farà anche per mamma Rosa che visitava gli anziani della provincia di Milano"



Il 15 ottobre ormai è alle porte. Entro quella data Silvio Berlusconi dovrà decidere tra arresti domicialiari e servizi socilail. Secondo alcune indiscrezioni, il cav dovrebbe optare per i servizi sociali. Ma se così fosse, dove li sconterebbe? A chiarire i dubbi ci pensa un suo amico di lunga data, Emilio Fede. L'ex direttore del Tg4 continua afrequentare il Cav ed è uno degli uomini più vicini all'ex premier in questo momento delicato. Secondo Fede, Berlusconi dovrebbe scontare i servizi sociali in una casa di riposo anche per "onorare la memoria di mamma Rosa che spesso faceva visita agli anziani nelle case di cura della provincia di Milano". "Sta valutando l'ipotesi di andare in una casa di riposo in onore della madre Rosa. Ne abbiamo parlato a lungo e lui non esclude i servizi sociali. Non mi piace però questo continuo tirarlo per la giacchetta, con Don Mazzi che gli chiede di andare da lui per raccogliere i pomodori, invece che andare con Don Gelmini. E' una situazione squallida. Una ipotesi sul tappeto è quella di andare in una casa di riposo. Come tutti sanno lui era molto legato alla madre Rosa che faceva spesso visita nelle case di riposo della provincia di Milano". Insomma a quanto pare per Fede, il Cav avrebbe già deciso.

"Mediaset rischia la scalata" - Ma l'ex direttore in un'intervista ad Affaritaliani.it, sottolinea la sua anima "aziendalista". Secondo Fede, se il Cav dovesse uscire di scena, a rischiare di più sarebbero le sue aziende, soprattutto dopo la mazzata del "lodo Mondadori". Fede teme una scala su Mediaset da parte di De Benedetti, ma spera che Silvio e soprattutto i suoi figli sappiano arginare il pericolo: "Mi auguro che siano ipotesi infondate. Certamente l'azienda rischia e sarebbe un grave e inaccettabile delitto che qualcuno possa scalarla. Mediaset è nata e cresciuta grazie al sacrificio di una intera famiglia e di Berlusconi". Infine Fede parla anche del suo futuro: "Io ho aperto un blog per parlare con gli italiani di questioni politiche e in un mese ho raccolto 16mila adesioni. Ne farò un movimento di supporto politico". (I.S) (Tratto da Liberoquotidiano.it)

lunedì 23 settembre 2013

Concordia, Schettino accusa il timoniere: al Giglio fu colpa sua

Della serie come scaricare le proprie responsabilita' sugli altri,un sottoposto in questo caso....Il comandante della Concordia:"Se avesse messo il timone a sinistra, la nave avrebbe rallentato" 

 



Francesco Schettino torna ad accusare il timoniere della Concordia, Jacob Rusl Bin. Per l'ex comandante della Costa Concordia, senza l'errore, riconosciuto anche dai periti, appena prima dell'urto con gli scogli del Giglio, la nave avrebbe avuto un impatto meno significativo o, addirittura, sarebbe "passata liscia".

"Il timone posizionato a dritta accelera la velocità angolare e la velocità angolare rispetto all'avanzo", ha detto Schettino durante l'udienza odierna a Grosseto, nel processo che lo vede unico imputato per il naufragio avvenuto al Giglio il 13 gennaio 2012.

"E allora non diciamo nulla, fate come volete voi - ha continuato Schettino, replicando al giudice - l'urto sarebbe avvenuto più indietro". "Nel mettere il timone a sinistra volevo ridurre la velocità angolare della poppa favorendo l'avanzo rispetto alla rotazione. Più rotazione: impatto più a prua - ha continuato Schettino - meno rotazione o addirittura se si fosse fermata la nave passava liscia. Il mettere il timone a sinistra significava ridurre la velocità angolare della prora e conseguentemente lo schiaffo della poppa. Quindi - ha concluso Schettino. l'avanzo sarebbe stato privilegiato rispetto al moto rotatorio".

Nell'udienza di oggi, anche l'ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone ha sottolineato che il timoniere della Concordia sbagliò prima dell'impatto della nave contro gli scogli: eseguì gli ordini del comandante con un ritardo di 13 secondi. "Con buona probabilità - ha comunque aggiunto l'ammiraglio - l'impatto ci sarebbe comunque stato, per la velocità della nave e le condizioni avverse in quel momento della dinamica".

Ai pm che chiedevano maggiore precisione sugli effetti di quell'errore, l'ammiraglio ha risposto: "Non si può valutare il punto dell'impatto e le risultanze di questo impatto, che tipo di falla, dove e con che ampiezza, ma l'impatto ci sarebbe comunque stato, a giudizio del collegio peritale, viste la vicinanza dello scoglio alla terraferma e - ha concluso Cavo Dragone - le caratteristiche del moto della nave e quelle meteo".

Intanto la difesa dell'ex comandante Francesco Schettino ha chiesto una nuova perizia sulla Concordia, possibile, secondo i legali, perché ora la nave è stata raddrizzata. Anche il Codacons appoggia la richiesta, su cui deve pronunciarsi la giuria del processo in corso a Grosseto.

Dall'asfaltata alla bicicletta,Renzi prossimo ministro dei trasporti ? (e opere pubbliche)


Dopo l'asfaltata del centro destra il paragone di Renzi si sposta sulle due ruote e incalza il governo Letta paragonandolo ad una bici che ferma non sta in piedi . Renzi fa le pulci al governo, ospite della trasmissione di La7 "Omnibus". «Il governo Letta-Alfano è come una bicicletta: sta in piedi se corre, se resta fermo cade», ha detto il sindaco di Firenze e candidato alla segreteria del Pd. Il Partito democratico, secondo Renzi non deve spaventare l'esecutivo, anzi. «Se il Pd fa il Pd e fa delle proposte, il governo è più forte», ha aggiunto, «Il governo non ha nulla da temere dal Pd: non siamo noi a fare "o fa così o te ne vai". Quello lo fa Brunetta, non il Pd». E poi ha assicurato: «Non ho nessuna fretta di far cadere il governo, ma ho fretta di farlo lavorare». Per Renzi «il problema del governo Letta-Alfano è che è di larghe intese e ha senso se fa le cose, non se le rinvia. Io non vedo nessuna preoccupazione circa il rapporto tra il governo Letta e me». Ma, ha ribadito Renzi confermando le parole dette in assemblea sul rapporto deficit-Pil: «non dobbiamo diventare campioni mondiali di alibi». Quanto al suo rapporto con Letta, il sindaco di Firenze ha affermato: «un amico è quello che ti dice in faccia le cose, non quello che ti dice "tutto bene" davanti e poi ti accoltella alle spalle».

domenica 22 settembre 2013

Germania, exit poll: Merkel al 42,5%

Vince, ma rimane senza alleati

Risultato scarso per gli alleati liberali della Cancelliera: potrebbe essere obbligata alla Coalizione con l'Spd, che si ferma al 26,5%

 

Si sono chiuse in Germania le urne per le elezioni alla Cancelleria. La Cdu-Csu della cancelliera Angela Merkel ha ottenuto il 42,5% dei voti, secondo i primi exit poll, mentre il partito socialdemocratico (Spd) dello sfidante Peer Steinbrueck ha ottenuto oggi il 26,5% dei voti. Il partito dei Verdi viaggia intorno all'8% e la sinistra della Linke è intorno all'8,5.

Voto palese o voto segreto?


Oggi abbiamo scelto l'articolo di Valerio Tallini  avvocato e docente presso la LUISS Guido Carli di Roma che ci e' sembrato fare il punto con estrema imparzialita'sulla intricata situazione della decadenza del senatore Berlusconi.

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In questi giorni si discute (alcuni, a dir la verità, strillano) sulle modalità di votazione della proposta di decadenza (che verrà formulata dalla Giunta delle elezioni) del Senatore Berlusconi: deve essere effettuata con il voto "palese" oppure a scrutinio "segreto"?
Se ci trovassimo nell'altro ramo del Parlamento tale controversia non sorgerebbe neppure: ciò perché, alla Camera dei deputati, "le votazioni in materia di verifica dei poteri, ineleggibilità, incompatibilità e decadenza non costituiscono votazioni riguardanti persone ai sensi dell'art. 49, comma 1, del Regolamento della Camera" (così prevede l'art. 2, comma 2, del Regolamento della Giunta delle Elezioni della Camera). E secondo l'art. 49 R.C. "le votazioni hanno luogo a scrutinio palese".
Al Senato, invece, le norme regolamentari (del Regolamento Generale e della Giunta delle Elezioni) non prevedono una norma del genere, sicché le predette votazioni, in passato, sono avvenute a scrutinio segreto, considerandosi le stesse riferite a persone: a dimostrazione di ciò basterebbe richiamare la votazione (a scrutinio segreto) concernente la decadenza del Senatore Malentacchi.
La Giunta delle elezioni con deliberazione del 25 luglio 2002 aveva dichiarato contestata l'elezione del Malentacchi e aveva proposto all'Assemblea l'annullamento dell'elezione. Il Senato, nella seduta del 20 novembre 2002 (281° seduta, pomeridiana), si riunì per votare la decadenza: in quella sede, dopo che l'Aula respinse la richiesta di dimissioni di Malentacchi medesimo, vennero presentati, da parte dei gruppi di opposizione, tre distinti ordini del giorno (due a firma del Sen. Sodano e l'altro avente come primo firmatario il Sen. Manzione), i quali erano motivati in senso difforme rispetto alle conclusioni della Giunta (e ciò accadrà, presumibilmente, quando sarà discussa la decadenza del Senatore Berlusconi, altrimenti in assenza di tali ordini del giorno, firmati da almeno venti senatori, l'art. 135-ter del Regolamento del Senato prevede che non si proceda alla votazione sulla decadenza, intendendosi approvate le conclusioni della Giunta). Ebbene, tutti e tre gli ordini del giorno vennero votati (e respinti) a scrutinio segreto, ai sensi dell'art. 113, comma 3, del Regolamento (come si può vedere a pag. XIV del Resoconto sommario), con la conseguenza che il Sen. Malentacchi venne dichiarato decaduto. E' curioso constatare che la richiesta di scrutinio segreto venne effettuata da parte del Sen. Antonello Falomi, appartenente al Gruppo dei "Democratici di Sinistra/Ulivo" (pag. 47 del Resoconto stenografico)...
Si è anche sostenuto che al Senato la proposta di decadenza di Berlusconi si potrebbe votare a scrutinio palese, in virtù di un'interpretazione della Giunta per il Regolamento del 6 maggio 1993, secondo cui "le deliberazioni sulle proposte della Giunta delle elezioni e delle immunità in materia di autorizzazione a procedere in giudizio siano sottoposte alla disciplina generale relativa ai modi di votazione e, pertanto, debbano essere votate in maniera palese".
Tale autorevole ricostruzione non può tuttavia essere condivisa, in quanto se è vero che si riferisce alle proposte della Giunta delle elezioni e delle immunità, essa comunque non riguarda le deliberazioni in materia di verifica dei poteri (ineleggibilità, incompatibilità, decadenza, ecc.), ma solamente quelle "in materia di autorizzazione a procedere". Per intenderci: le deliberazioni relative alla "vecchia" immunità (istituto poi abrogato nell'autunno del 1993, durante Tangentopoli) potevano essere votate a scrutinio palese.
Senza contare che la stessa Giunta per il Regolamento, più avanti afferma che "il ricorso al voto segreto si rende possibile per le autorizzazioni a procedere concernenti la sottoposizione all'arresto, alla perquisizione personale e domiciliare o ad altra privazione o limitazione della libertà personale".
Volendo concludere: tale parere non sembrerebbe quindi essere conferente, in quanto la Giunta per il Regolamento si espresse solamente in merito alle modalità di votazione in materia "immunità" tout court, non facendo invece alcun cenno al (diverso) ambito delle "elezioni".

Renzi, se si va al voto li asfaltiamo



Prendendo spunto dalle parole del "piacione Fonzie" Renzi sulla ipotetica asfaltatura che prossime elezioni dara' al centro destra.. ho creato : L'Asfaltato ! (mi auguro buona fortuna )